Ci sono alcuni termini i cui significati aleggiano in una nube di confusione e distopia. Proviamo ad addentrarci nella foschia.
La tecnologia dei BIG DATA ha a che vedere con l’acquisizione e la gestione di grandi moli di dati. Quando si dice grandi moli di dati, si intende proprio tanti tantissimi dati che sono, perloppiù, informazioni (le nostre). Tutti questi dati vengono acquisiti dalle pagine in cui navighiamo, dai social in cui ce la spassiamo, dalle magiche app che utilizziamo, dai nostri click, dalle nostre ricerche, dai questionari a cui rispondiamo, dai format che compiliamo, dalle ricerche che effettuiamo, e da tanto altro. E tutti questi incredibili ed affascinanti dati vengono poi gestiti da dei software che li ripongono in modo ordinato (ossia che sia poi facile effettuare delle ricerche) in grandi grandissimi cluster di computer. Tendenzialmente questi cluster e questi software sono di proprietà di grandi aziende che acquistano dai vari siti ed app le nostre informazioni e le rivendono, carine infiocchettate e ordinate, a caro prezzo a chi le richiede.
I programmi reagiscono a dei dati (input), ma normalmente queste reazioni e risposte sono state codificate e scritte precedentemente. Se clicco sul bottone invio il messaggio verrà mandato perchè, da qualche parte, c’è scritto che quando il bottone che dice invio viene pigiato allora il messaggio viene mandato. Gli algoritmi di MACHINE LEARNING, invece, non necessitano di sapere prima come reagire a determinati eventi, ma lo “apprendono” partendo da esempi che sono poi in grado di generalizzare per adattare il proprio comportamento alla situazione. Per fare questo e rendere questi sistemi sempre più precisi sono necessarie immense moli di dati. Si, proprio i BIG DATA!
Il Machine Learning [Apprendimento Automatico] è una branca della tanto blaterata INTELLIGENZA ARTIFICIALE. Quando si parla di cose fumose, questa rientra nella top ten del diciamo tante cose a caso e confondiamo le acque. L’idea è quella di riuscire a costruire dei sistemi che simulino un comportamento “intelligente”, che siano quindi in grado di reagire e prendere delle decisioni non sulla base di istruzioni previamente scritte, ma apprendendo da ciò che esperiscono.
Per crescere, per diventare “più intelligente”, l’intelligenza artificiale ha bisogno dei nostri dati. I Big Data nutrono enormi processori grazie ai quali gli algoritmi di machine learning “imparano” alcuni comportamenti. L’AI non trae conclusioni come gli esseri umani, ma impara per prova ed errore e ciò richiede massicce quantità di dati che, per fortuna, tuttx noi doniamo alla scienza senza farci grandi domande.
L’AI è già tutta intorno a noi. Sono “intelligenti” i sistemi di chat-bot dei servizi clienti, i motori di ricerca come google, i sistemi che decidono quali mail sono indesiderate, l’autoetichettamento nelle foto dei vostri social di fiducia, i filtri instagram che permettono l’invecchiamento o altre simpatiche modifiche, i programmi di traduzione… e poi ovviamente ci sono cosine meno graziose come i droni che sparano alla gente, ma tanto, lontano dagli occhi lontano dal cuore.